lunedì 11 giugno 2012

Brutture da cover vintage


“Vieni al bar, vieni al bar, e lascia perdere Superstar…” non è una mia invenzione alla fine di una notte insonne. E’ il testo della cover italiana, ad opera dei “Flora, Fauna e Cemento”, di “Jesus Christ Superstar”, pietra miliare del musical rock. E come fare a dimenticarsela, una volta sentita? Soprattutto, come fare, dopo che una simile ferita ti ha deturpato l’adolescenza?

Ricordo perfino la trasmissione in cui la sentii, e questo fa almeno in parte giustizia: era la “Schif parade” un programma radiofonico della Rai condotto da due sedicenti Malalingua, pseudonimo dietro il quale si nascondevano Luciano Salce e Bice Valori… e allora tutto diventa un pochettino più chiaro. Anche perché l’autore accreditato di questo testo è Herbert Pagani, e allora è autorizzato il dubbio che si trattasse di un’operazione ironica e volutamente iconoclasta.

"Lei non c'è, lei non c'è
esce con tutti ma non con te
vieni al bar, vieni al bar
e lascia perdere Superstar"


Gran programma, la Schif Parade. Per inciso, non oso pensare in che posizione potrebbe essere la Pausini in un programma del genere, ma ricordo che Schif parade fu essenziale per il successo delle “Figlie del vento”, che frantumarono la Hit parade 1973 con versi immortali come: “Sugli sugli bane bane, tu miscugli le banane.” Bei tempi.
Però le cover italiane, per tornare a bomba, in quegli anni erano veri e propri capolavori. Proviamo a giocarci.

“Se tu guardi gli occhi miei
che hanno pianto per amor
che han versato tante lacrime,
puoi trovarci la tua immagine
quel sorriso, quella bocca, che baciai…
che baciai e così saprai.


Ridestatici dall’ascolto del sublime, basta cantare questi stralci di alta poesia sulle note di “The sound of silence”, e il misfatto è compiuto. Il responsabile, per non far nomi, era Dino. Il testo originale di Paul Simon raccontava un mondo complicato, incomprensibile, in cui perfino il buio era un rifugio accogliente e familiare:

“Ciao, oscurità, vecchia amica
sono qui per parlarti di nuovo
perché una visione arrivando dolcemente
ha lasciato i suoi semi mentre dormivo
e la visione
che si è fissata nella mia mente
rimane ancora
dentro il suono del silenzio”

Molto di peggio, a dire il vero, riuscirono a fare  Piccaredda e Paolo Limiti (sì, proprio quel, Paolo Limiti), che riuscirono ad affidare ad Ornella Vanoni e Wess il seguente scempio di “Imagine”:

“Immagina una parola
detta al momento in cui
io sono molto solo
e accanto ci sia lei
immagina che mi creda
come, non lo so
Non è vero ma succede
viene sempre un'ora blu
e se solo il cuore cede
stammi più vicino tu”

Questa divagazione mi è venuta in mente perché qualche giorno fa mi sono trovato a parlare di “Pietre” di Antoine al Festival di Sanremo, e ho scoperto che non molti sanno che si tratta di una cover, per quanto non accreditata, di un brano di Bob Dylan,  Rainy Day Women 12 & 35. In quegli anni succedeva spesso, e qualche volta anche con risultati egregi.
E’ il caso, per esempio, di “A night in white satin” dei Moody Blues, qui nel video ufficiale del 1967.


Notti di raso bianco
non arrivano mai alla fine
lettere scritte
non significa che siano spedite
La bellezza si è sempre perduta
in questi occhi.
Quale sia realmente la verità
non sono più in grado di dirlo.

…diventata, nella versione dei Nomadi, peraltro ripresa in quel periodo da molti altri gruppi del beat, primi tra tutti i Profeti, “Ho difeso il mio amore”.



Queste parole
sono scritte da chi
non ha visto più il sole
per amore di lei.
Io le ho trovate
in un campo di fiori.
Sopra una pietra
c’era scritto così:
Ho difeso
ho difeso
il mio amore
il mio amore.

Poco e niente è rimasto del testo originale, ma Augusto Daolio riesce a conferire a queste parole, che paventano un oscura storia di eros e thanatos, un’epicità e un’intensità che in alcuni momenti supera l’originale.
Qualche volta accade. Pregherò, per esempio, è una rilettura totale di Stand by me, e Don Backy riesce, dopo che l’impresa era stata fallita da Miki del Prete, a costruire un testo e una storia che volano molto più in alto dell’originale, che era solo una canzone d’amore dal testo piuttosto banale, mettendo in scena la storia di una ragazza cieca che odia il cielo e Dio per la sua menomazione. 
Non foss’altro, una storia umana e non un clichè, che verrà inciso dal molleggiato, che almeno dal punto di vista del testo si fa notare, tanto è vero che quando Dalidà incise la versione francese, come modello si scelse la versione di Don Backy, e non quella americana.

In fondo in fondo, non è andata male neanche a Frank Sinatra e alla sua “Stranger in the night” divenuta, in bocca a Johnny Dorelli “Solo più che mai, in una notte che non finirà…”



Almeno la notte è rimasta.






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