domenica 23 dicembre 2012

ADESTE FIDELES (raccontino di Natale)



 Adeste, fideles, laeti triumphantes...
Venite, venite in Bethlehem.
Natum videte Regem angelorum...

E’ freddo, e le goccioline portate dal mare si condensano sul viso. Mi maledico, non volevo venirci. Lo sapevo, non dovevo venirci. E’ sempre così, le cose le intuisco, anche questa volta mi si è stampata chiarissima nel cervello. Le intuisco ma poi non le faccio. Non dovevo venirci.
Non per il bambinello, per carità.
Non mi fa né caldo né freddo, il bambinello.
M’infastidiscono, invece, quelle espressioni estatiche sul viso delle vecchiette. E quei sorrisi spaesati che frullano da uno sguardo all’altro sul viso delle famigliole che si stringono per combattere il vento di mare.
Guardo l’orologio; è quasi mezzanotte.
Ad un centinaio di metri dalla riva, come fuochi fatui, brillano le candelette di soccorso dei sub. Fuochi verdi, artificiali, che si agitano sotto la superficie dell’acqua. Come il link di un cursore su uno di quei vecchi computer di una volta.
C’e’ uno sciabordio placido, che si aggroviglia tra i ventri delle vecchie barche ancorate alla catenaria. Sullo scivolo di cemento interrotto a tratti regolari da doghe di legno, che serve per mettere in acqua i natanti, anche le alghe che sono cresciute d’estate ora sono fradice, marcite dal freddo. Sono una guazza verde e maleodorante, scivolosa.
Il prete si avvicina, appoggiando i piedi con cautela. Il mare è calmo, neppure un’onda increspa la superficie, fa troppo freddo anche per loro.
Ed io do un’ennesima ravviata alla sciarpa, mentre accendo una sigaretta. E mi rendo conto di quanto la maledirò.

Venite adoremus, venite adoremus,
Venite adoremus, Dominum.

Non credevo ci saremmo arrivati, a questo Natale.
Otto mesi fa, quando è successo tutto, ho creduto che sarei morto. Quanto sono banale, sono come tutti. Figurarsi se è interessante sentire la storia di due che si lasciano dopo essersi martoriati nel tentativo di capirsi. Però non ne ho altre, di storie, e questa è la mia.
Nella scena, io sono quello con l’espressione annoiata che guarda i paesani che con occhio pio scrutano il pelo dell’acqua, per vedere emergere il bambinello dagli abissi. E che si sente morire, dice. Ma sono solo cazzate.
Invece non si muore per amore… (…è una gran bella verità… canticchia Battisti in un angolo della mia testa…). No, che non si muore. Troppo facile. Invece, si continua a vivere, con un nodo sotto lo sterno.
Come un pugno allo stomaco - che però non rimbalza.
Che rimane incastrato lì, tra le carni. E tu te la porti dietro, quella persona che ti ha colpito al diaframma. Te la trascini dietro per le vie, con la sua mano incastrata nella tua pancia. E lei non lo sa, che sta incastonata lì, sotto le costole. Così ti cammina a fianco, con il braccio ripiegato in un innaturale angolo, un po’ china per non farselo troncare. E ogni passo che fai il rimbalzo del tuo piede sul terreno la agita, quella mano che ti fruga i visceri. E il dolore risale lungo la spina dorsale, fino al cervello. Un dolore sordo s’inerpica lungo la base del collo e ristagna in gola. E non puoi piangere. Perché non sei un bambino, e la mamma non arriva. Non arriva più.

Venite fedeli, l'angelo ci invita,
Venite venite a Betlemme!

Non credevo che ci sarei arrivato, a questo Natale: il primo Natale senza Lisa e senza i suoi occhi blu. E in ogni caso non credevo che ci sarei arrivato così. Infatti, probabilmente, non ci sono arrivato.
Questo qui, che sta aspettando il Natale, è un altro. Io non ci sono qui. Non ci sono più, sono andato un attimo di là.
Torno subito lasciate un messaggio.

Ma poi torno, lo giuro di fronte a Dio, se si decide ad uscire fuori dall’acqua.
Perché è fredda, la notte del Santo Natale 2005, il Natale che non avrei mai immaginato di vivere.
Ecco, si.
Qui siamo dietro un angolo che non dovevo voltare. E se mi guardo indietro, prima della svolta, non trovo più nulla.
Non c'è più nulla.
Sono… anestetizzato. Perfino il freddo non punge.
E una sensazione prepotente d’irrealtà mi avvolge.
Come lana di vetro.
Che non scalda, ma irrita la pelle.
In alcuni momenti, nel corso della vita, mi è capitato di vedermi da fuori, c’avete presente quando voi rimanete lì con i piedi desolatamente inchiodati alla terra e lo sguardo puntato su un qualsiasi orizzonte a caso, ma contemporaneamente vi immaginate di salire in cielo a cavalcioni di un dolly metafisico e guardarvi da lassù, piccoli e indifesi come formichine e anche un po’ insignificanti?
Questo è uno di quei momenti.
Chissà che sta facendo, ora Lisa.
E cosa fanno i suoi occhi blu.
Da lassù in cima, aggrappato all’asse metallico del dolly, mi vedo qui giù, ineffabile, in piedi sul molo con le mani affondate nelle tasche del giaccone, e quello sguardo frastornato e annoiato, la sciarpa a coprire la bocca… poi la scosto, però, per dare ancora un altro tiro alla sigaretta che mi causa un improvviso, violento, accesso di tosse.
Che ci sto a fare qui?
No, non “qui a vedere il bambinello che esce dagli abissi…”
Qui-qui.
Che ci sto a fare QUI: da questa parte della pagina, quella che ho voltato.
All’incipit di questo capitolo che non conosco, che non mi piace, che mi sconcerta… che ci sto a fare? …e soprattutto, che cosa voglio fare? Mi scopro, di colpo, ad illudermi in meteoriche astrazioni, illusioni di un futuro che è ben al di la dal rivelarsi… di giorni di sole, e di sapore d’altre labbra, di vento tra i capelli… bah.

Il bambinello è ancora sotto il pelo dell’acqua, e il prete sta già sul molo, intirizzito nella sua sottana nera.
I chierichetti si guardano intorno e salutano papà con la manina.

Nasce per noi Cristo Salvatore,
Venite adoriamo, venite adoriamo,
Venite adoriamo il Signore Gesù.

Vedi, io non so perché ti dico tutto questo. Come avrai ormai capito, non va da nessuna parte. Gira su se stesso come un criceto in una ruota. (corri, corri pure… sempre qui stai…)
Ma stanotte le parole vogliono uscire. Sono avaro di particolari, lo so. E tu vorresti il disegno del sorriso di lei.
Sai già che aveva gli occhi blu, Lisa.
Ma non aveva più le trecce.
E senza non sembrava la stessa.
Ma tu vorresti di più, vero?
Vorresti gli accenti delle sue risate (non erano cristalline, erano… arrugginite. La sua voce era sgraziata. Eppure era la sua.)
Vorresti i brandelli del suo corpo, sporzionato in dadini sanguinolenti e vorresti la mia mano che te li porge sulla lingua protesa, vorace, ingorda, maledetto cannibale.
Vorresti vita, morte e miracoli di Lisa, e il lampo malvagio di quello sguardo azzurro, quando ha detto che le dispiace, ma non potevamo continuare così.
E vorresti il mio silenzio, perché lei aveva ragione.
E vorresti l’arco del mio sguardo che si abbassa al pavimento. E il brivido sulla schiena, la vertigine che ho sentito in quel momento, sporgendomi dal baratro, per guardare giù, il futuro. E capendo che sarebbe stato un futuro senza Lisa.

Tutto questo vorresti, perché sei un voyeur.
Come lo sono io, mentre mi spio vivere, e lo metto su carta.
Ma non c’e’ nulla di intimo, nella descrizione degli occhi di una donna.
(Erano belli, va bene? Erano belli. Blu, e profondi, e infidi e sfuggenti, e ridenti e belli. Ma se lo dico io non vale, tu lo capisci…) Non c’e’ nulla di eccitante nel ricordo del suo seno sotto le mani
(Era pieno, e florido. Lievemente sfiorito. Ma cosa c’e’ di eccitante se lo dico io? Che ne sai, se il ricordo così come te lo offro non stia rendendo una realtà prosaica più desiderabile del vero?)
Sei un guardone, ecco cosa sei.
Vai via di qui e lasciami al mio dolore privato.

La luce del mondo brilla in una grotta
la fede ci guida a Betlemme!!

C’e’ un brivido, sotto il pelo dell’acqua, ora.
Forse il bambinello sta per riemergere. (Ma quanto cavolo in profondità lo seppelliscono, sotto quanta acqua giace, la luce del mondo?)
Forse aspettano la mezzanotte esatta per tirarlo fuori.
Forse i sub sono la, sotto la superficie, alcuni centimetri sotto, e qualcuno dalla barca infila il braccio in mare per fargli vedere che non è ancora il momento di salire…
E loro stanno lì, e attendono.
Chissà se là sotto si sente, questo canto questa nenia che continua come se fosse sempre esistita.
Chissà se cantano anche loro, là sotto.
Se le bollicine dei loro boccagli, scoppiando a contatto col pelo dell’acqua, liberano minuscoli brandelli di canzone….

Nasce per noi Cristo Salvatore,
Venite adoriamo, venite adoriamo,
Venite adoriamo il Signore Gesù.

Era bella, Lisa. Per dio se era bella.
Potrei riempire pagine e pagine, di - quella volta là…  e quell’altra che…. E mi ricordo, oppure… - Ma non è questo che ti racconterò, mi dispiace deluderti. E non puoi neanche lamentarti, perché non hai pagato il biglietto.
Non racconterò questo, perché non è questo che mi devasta l’anima.
È il rinnovamento, la mia sentenza di morte. Molto più delle mie sessanta Marlboro al giorno.
Vedi, è l’impossibilità di rinnovarmi che mi impianta le unghie nell’anima e ne strappa brandelli, sputandoli al vento.
Nulla si rinnova.
Non solo io, nulla si rinnova, è un’illusione, il rinnovamento.
Quello che non si decide a manifestarsi, come questo bambino che non vuole uscire dall’acqua.

Il prete batte lievemente i piedi per terra, per combattere il freddo. La gente borbotta. Non tutti stanno cantando, ora.
Perché il rinnovamento è un attimo, lo diciamo sempre.
“Ti svegli una mattina e ti accorgi che hai svoltato davvero. Che stai bene. Ed hai di nuovo voglia di vita…”
Ma intanto, è mezzanotte e cinque, e il bambinello non esce.

La notte risplende, tutto il mondo attende
seguiamo i pastori a Betlemme!

Ora, io non so dove sto andando a parare, peggio per chi mi ha seguito fin qui. Magari mi avesse seguito Lisa. Saprebbe quanto soffro per lei, e forse avrebbe voglia di tornare indietro. Ma magari no. E magari non è questo che voglio. Non lo so.
So che vorrei che la vita mi desse un segno. Vorrei sollevare lo sguardo al cielo, e veder fioccare meteoriti e stelle cadenti. Oppure il solleone.
Ecco sì.
Il solleone a mezzanotte e dieci, la notte di Natale. 25 dicembre. Quello sì, che sarebbe un segno. Inequivocabile…

Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo, venite adoriamo,
Venite adoriamo il Signore Gesù.

…ma poi?
Cosa cambierebbero, in questa vita un po’ sfilacciata, in cui sono inciampato, da questa parte dell’angolo?
Vorrei che un angelo dal cielo, San Michele Arcangelo coronato di fulmini, scendesse e mi percuotesse con la sua spada.
E mi rendesse nuovo.
Pulito e vergine come il culetto di un neonato. Che mi rinnovasse il Jackpot, tanto per permettermi di sperperarlo un’altra volta. Senza Lisa e i suoi occhi invadenti oddio sì!
Senza di lei, finalmente.
Stanotte, per un attimo, mi sembra possibile.
Vedi, amico mio, sei gentile ad avermi seguito fino a qui, in questa lunga attesa.
Vedi… il rinnovamento non è una parola magica. Forse sorge dalle acque. Ma è solo il principio di un altro, ennesimo, ciclo.
E allora perché lo desideriamo e percorriamo di nuovo quei sentieri? Forse, per illuderci di vivere.
Perché ognuno ha la vita che si merita.

Di colpo, mi scopro a desiderare che quel povero cristo bambino non esca mai più, da quelle acque maleodoranti di carburante per barche a motore.
C’e’ una pellicola sottile, sul pelo del mare. E’ traslucida. Forse sono ancora gli oli solari di quest’estate. Forse è solo che è notte, e la tensione superficiale, col freddo aumenta.
Ma vorrei non si infrangesse mai.
Che quel puttino dalle guance bianche e rosse restasse la sotto, in eterno, sbattuto dalle correnti, a marcire.

Non uscire, Bambino Gesù.
Fai questo miracolo di Natale.

Dimostra a me, e al mondo, che il cambiamento e il rinnovamento sono una gabola. Che ambedue sono invenzioni per i fessi, come la fine del mondo dei Maya. Vermi di terra che si ritorcono su se stessi e si avviluppano in un nodo senza futuro.

Non rivelarti, Bambino Gesù.
Fammi questo dono.

Così sarò meno solo, in questa nicchia del tempo da cui non so uscire, come tu non esci dal mare. Fallo per me. Regalami una notte speciale, non uscire…

Il figlio di Dio, Re dell'universo,
si è fatto bambino a Betlemme!

E invece no.
E invece esce, sembra quasi che abbia gusto, a smentirmi. E alle vecchiette si inumidiscono gli occhi.
E’ nato ancora una volta.
E’ nato per morire tra tre mesi, per i peccati che loro, poverine, non possono più fare.
O che probabilmente, non hanno mai fatto.
E che io, lo prometto, farò ancora, di nuovo.
Come fumare. Lo so bene che mi ammazzerà. Ma qual è l’alternativa?
E allora continuerò ad essere disperso e sconcertato, senza via e senza speranza, come sono e fui. Produrrò peccati, te lo prometto.
Ma lo farò per te, Bambino Gesù.
Per dare un senso al tuo prossimo emergere dalle acque. Ti guardo, mentre i sub ti depongono sulla conchiglia. Sorridi, di quel sorriso senza consapevolezza dei cartoni animati che ti hanno disegnato in viso.
Ma forse sono io che ti vedo così, e sto sbagliando tutto. C’era qualcosa che dovrei ricordare, era sepolta laggiù in fondo in cima all’infanzia…  
Ma ora non la so più.
Lenta, morbida, con l’incedere tranquillizzante delle cose concrete, delle cose che si conoscono bene, quelle di ogni giorno, la processione si avvia.

Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo, venite adoriamo,
Venite adoriamo il Signore Gesù…

Ora il prete canta nel microfono, e il megafono gracchia.
Il bambino ondeggia, le manine protese in un gesto di benedizione. Ma chi gliel’ha insegnato, a benedire, se è appena nato, se è nuovo?
Ma è davvero nuovo?
Non è lo stesso pupazzetto dell’anno scorso?
Dio, quanto vorrei crederti.

Sorride, lui.
Mi sta dicendo che tutto è stato perdonato, prima ancora che avvenisse.
Inutile peccare, in queste condizioni. Come sporcare una parete il giorno prima che venga ridipinta.
E lui, sorride.
Che ne sai, tu, che c’era lei. E che ora non c’e’ più. Che ne sai. Lisa aveva gli occhi blu, ed era bella e spietata.
Ma vedi, era un’illusione anche lei. Come se per sopravvivere avessi scelto di giustificarmi in qualcun altro.
Ma tu queste cose non le sai ti occupi di altre cose, tipo eternità e infinito. E io gioco coi miei piccoli giocattoli, risposte insignificanti come trovare la forza per dimenticare Lisa, o il coraggio di accettare la vecchiaia. Cosette, che tu non sai nemmeno.
O forse no. Le sai, tu sai tutto, sei onnisciente, in cielo in terra e in ogni luogo… le sai, ma non le ritieni importanti.
Perché in quel tuo sorriso da putto insopportabile che hai stampato sulla faccia c’è la certezza che tutto il male del mondo possa essere perdonato, e rinnovato, prima o poi.
E certi momenti mi viene voglia di pensare che devi aver ragione tu, altrimenti non vale.

Ma poi non ce la faccio, ti chiedo perdono.
Anzi, chiedo perdono a me stesso.
E allora, bambin Gesù, lasciati portare in chiesa dalle pie donne, ti stanno aspettando, non senti le campane?
Io come sempre rimarro’ fuori.
A fumare.




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