domenica 28 settembre 2014

Un negozietto piccino piccino. Marzo 1969 - Settembre 2014




Mi si dirà che un negozio che chiude è solo un negozio che chiude.

... se si guarda bene, a destra, si intravedono gli stand con i vestiti appesi...


Questo, probabilmente, riassume alla perfezione uno dei problemi di questo paese. Un negozio che chiude non è solo un negozio che chiude, così come gli individui che abitano le nostre città e camminano sulle nostre strade non sono solo il numero di un contribuente, l’assegnazione di una partita Iva, il cespite di uno stato patrimoniale.
Mi si dirà che alla fine un negozio di abbigliamento che chiude è solo una casella della Camera di commercio che viene sbarrata, e che probabilmente ne verrà aperta un’altra.
Ammesso che avvenga, ammesso che qualche altro pazzo decida di aprirla, quella casella, solo per spalancarsi la camicia e offrirsi alle raffiche di uno Stato Nemico che ti vessa e ti taglieggia, per esporsi alle indagini di un sistema fiscale che ti pregiudica e ti persegue a prescindere, per offrirsi alle mille trappole e ai mille trucchi di un sistema bancario selvaggio, al confronto del quale i sobborghi di Bangkok sono un giardino d’infanzia.
Mi si dirà che il sistema economico funziona così, ed anche la selezione naturale.
E trovo che ci sia da meditare moltissimo su un paese dove il mercato, il patto sociale, la convivenza civile sono da paragonare alla selezione naturale.

Dall’altra parte, mi si dirà che la colpa è tutta di qualcun altro, come se quelli che lo dicono - loro, quelli con le mani pulite - non avessero fatto parte tutti, indistintamente, di questo sistema. Salvo darsi una lavatina e autoproclamarsi depositari del verbo e della soluzione, e passare il tempo non a risolvere le cose, ma al contrario ad attribuire le responsabilità.
Ma ora non è il momento di parlare di questo.
Parlavamo di un negozio che chiude.


Oggi, chiude La Primula Confezioni. Il negozio di abbigliamento di Via Fiume 25/27, La Spezia, dove mio padre e mia madre hanno passato la loro intera esistenza, a partire dal 1969, e dove mio fratello Massimiliano ha combattuto dopo di loro, vincendo battaglie, ma perdendo, sembrerebbe per ora, la guerra.
Tutto qui.
Come direbbe Francesco Guccini “Ma che piccola storia ignobile, sei venuto a raccontarmi…”
Lo so, lo so, è storia condivisa. E’ la storia di aziende costrette a scegliere se pagare le gabelle dello stato signorotto o se pagare i dipendenti, è la storia di centinaia di migliaia di partite IVA che sono diventate praticamente liste di proscrizione ed elenchi di pizzo.
E il dramma è che non ci scandalizziamo neanche più.
Ma come sempre, c’è qualcosa di più, qualcosa di ineffabile, di non tangibile, che va messo a fuoco, che va ripetuto, che va comunicato col passaparola.
Un negozio che chiude dopo cinquanta e passa anni di progetti, di tentativi, di risultati e di sconfitte, non è solo un numero della camera di commercio su cui si traccia una riga.
Eh no.
Forse non dico nulla di così sconvolgente, eppure va detto, che si rischia di dimenticarselo. Un negozio che chiude dopo più di cinquant’anni, anzi, che è costretto a chiudere strangolato dallo Stato e dal sistema creditizio, non è solo un negozio che chiude.
E’ la prova provata del gigantesco fallimento del sistema.
Mi si dirà che parlo così in quanto coinvolto personalmente.
Probabilmente.
Ricordo perfettamente quando – avevo nove anni – mi affacciai per la prima volta alla porta, accompagnato da mio nonno. Ricordo i pomeriggi di inverno passati a giocare nel retrobottega e a fare i carri armati con gli scatoloni dei cappotti.
Ricordo il vicolo a fianco alle vetrine, dove giocavamo d’estate, e mio padre che stava sulla soglia quando ritornavo da scuola risalendo a piedi lungo via Prione. Mi aspettavano per andare assieme a casa a pranzare.
Mi si dirà che tutto questo è lessico familiare.
No, o più giustamente, non solo.
Un negozio che chiude, un negozio che è costretto a chiudere, dopo cinquant’anni, perché il sistema non è stato capace non tanto di dargli l’assistenzialismo che invece non si nega alle grandi famiglie industriali e alle grandi cooperative e alle catene di distribuzione, ma le ipotesi di soluzione, il progetto sul quale camminare, il sentiero per ripartire, è il simbolo che questo paese non è costruito per i cittadini.
Un negozio che chiude perché il sistema fiscale lo dissangua e le banche lo strangolano è la prova che l’Italia non funziona più.
Perché se questo paese non è capace di fornire al singolo supporto, assistenza, anche credito ovviamente, sostegno ai progetti, ma al contrario regala solo vessazioni, ingiustizie, sperequazioni, c’è davvero ben poco, per cui guardare fiduciosi al futuro.

Mi si dirà, che ci sono esempi macroscopici di questo.
Giusto. Ma come dicono gli inglesi, il diavolo si annida nei dettagli.

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